Tre nomi per un seducente indiano e due romanzi per Ernesto Ferrero
Pubblicato 2025-10-01
Parole chiave
- anthroponyms,
- Ernesto Ferrero,
- nicknames,
- identity,
- native Americans
Abstract
A metà degli anni Venti, il pubblico teatrale europeo fu travolto da una fascinazione collettiva per il richiamo esotico di terre lontane. Per alcune nobildonne, l’incontro con una compagnia itinerante di spettacoli indiani si trasformò in un coinvolgente intreccio con un artista della truffa tanto stravagante quanto calcolatore: il capo indiano Cervo Bianco. Dotato di fascino e del magnetico talento del narratore nato, sfruttò abilmente la loro generosa ospitalità e i lussuosi doni ricevuti. Alla fine fu denunciato, smascherato e condannato: la sua vicenda catturò l’attenzione dell’opinione pubblica, riempì le pagine dei giornali e si concretizzò in un corposo fascicolo processuale presso il Tribunale di Torino nel 1926. La storia colpì anche l’immaginazione del romanziere torinese Ernesto Ferrero, che la udì per la prima volta da bambino, raccontata dalla madre. L’impressione fu così profonda da spingerlo, anni dopo, a scrivere due romanzi ispirati al caso, pubblicati a circa vent’anni di distanza l’uno dall’altro: Cervo Bianco e L’anno dell’Indiano. In queste opere, il motivo del nome emerge come tema centrale—non solo come espediente di inganno, ma come simbolo di un’identità stratificata. I tre nomi dell’indiano, ciascuno in una lingua diversa, incarnano ed esaltano il fascino di un mondo sconosciuto, l’immagine idealizzata del “buon selvaggio” e l’enigma del narratore stesso. Attraverso le identità cangianti dell’impostore americano, Ferrero esplora la psiche complessa di una mente criminale—capace di intrecciare con abilità verità e illusione, racconto e manipolazione.